martedì 19 febbraio 2013

Fioretti e canne da pesca






Per una nuova equitazione "alla francese"

Traduzione dell'intervento di Patrice Franchet d'Esperey, écuyer del Cadre Noire di Saumur tenuta giovedì 8 dicembre 2011 nell'anfiteatro dell'Ecole Nationale d'Equitation in occasione della conferenza "Patrimoni dell'equitazione francese".

Potete consultare l'originale al seguente link:


INTRODUZIONE

L'equitazione sapiente, elaborata in Francia a partire dal XVI secolo e riportata in Italia dagli écuyers che avevano frequentato le accademie, coltiva l'ambizione di ritrovare, sotto il cavaliere, la bellezza delle andature e le attitudini del cavallo in libertà.

Il cavaliere, per arrivare a questo, deve imporre la sua volontà a una cavalcatura che essa stessa è sottoposta a vincoli strutturali (limiti fisici, ndt). Il suo scheletro è specializzato per la corsa e la sua corteccia sensoriale-motoria è praticamente ridotta al tessuto corticale deputato alla locomozione volontaria, come ha mostrato Christophe Degueurce precedentemente.

Da qui la necessità di interrogarci sull'intenzione della nostra equitazione sapiente e sui limiti che impone al cavallo montato. Quando il cavaliere cerca di fissare la posizione dell'avan-mano nel Ramener, in quale misura egli modifica la libertà di movimento del cavallo?

Al cavaliere vengono offerte diverse opzioni. Una tra le più ampiamente diffuse oggi vuole che la locomozione possa realizzarsi e svilupparsi qualunque siano le costrizioni imposte all'avan-mano e persino grazie a queste.

Un'altra via si apre invece a quanti si propongono di esaminare il cavallo in libertà per poi cercare di controllare l'equilibrio conservandone la plasticità posturale (senza alterarne le andature, ndt) e accompagnando i movimenti locomotori naturali.

Con l'impiego di aiuti adeguati, la libertà lasciata ai movimenti dell'incollatura, della testa, della lingua e della mascella inferiore del cavallo dovranno orientarci verso la pratica di una nuova equitazione alla francese. Ed è quella che cercherò di esporre con gli argomenti qui di seguito.


XENOPHON, LE ORIGINI DELL'EQUITAZIONE SAPIENTE

Questa ambizione di ritrovare, sotto il cavaliere, la bellezza delle andature del cavallo in libertà emerge dall'antica Grecia nell'opera di Senofonte, "Dell'Arte Equestre", scritto a Scillonte tra il 391 e il 371 a.c. ed è il primo trattato pervenuto nella sua interezza.

Senofonte descrive per il cittadino ateniese il bello e buon cavallo, come acquistarlo, mantenerlo ed addestrarlo nella prospettiva della guerra e della difesa della città. Alla fine dell'opera, si parla poi di un'altro cavallo: quello montato per le cerimonie e per gli onori agli Dei, e quello che piace agli Dei dei greci è la bellezza.

La processione delle Panatenee scolpita da Phidias (Fidia) per ornare il Partenone.


LA RICERCA DEL BELLO E DEL BENE

"Se qualcuno, montando un buon cavallo da guerra, vuole rendersi appariscente e prendere le più belle andature, si guardi bene dal tormentare, vuoi tirando la briglia, vuoi pungendo con lo sperone, vuoi sferzando con la frusta pensando di apparire brillante. Conducetelo, al contrario, con una mano leggera, senza che le redini siano tese, rilevando la sua incollatura, e riconducendo la sua testa con grazia, egli prenderà l'andatura fiera e nobile come quella nella quale si piazza da solo, come quando si ritrova in mezzo ad altri cavalli, soprattutto se ci sono femmine, è allora che rileva di più la sua incollatura, riconduce la sua testa in un'aria fiera e viva, leva elegantemente gli arti e porta la sua coda alta. Tutte le volte che si saprà portarlo a fare quello che fa da solo quando vuole apparire bello, ci si ritroverà un cavallo che, lavorando con piacere, avrà l'aria viva, nobile e brillante."

La ricerca del bello considerato come mezzo d'accesso "al vero" si accompagna qui alla nozione aristotelica dell'imitazione della natura che è "bella e buona". Il cavallo che lavora con piacere dimostra che si tratta di una forma di presa di coscienza autonoma, vale a dire una forma di elevazione di se stessi, di accesso ad una verità interiore che si manifesta per un trasporto di gioia, tanto dalla parte del cavallo quanto del suo cavaliere.

Dal punto di vista che interessa a noi, possiamo sottolineare due punti essenziali presenti in questo testo che sono le due intenzioni poetiche e filosofiche sulle quali si basa la nostra equitazione sapiente: la dolcezza del mezzi impiegati dal cavaliere per indicare la sua volontà, e ridare al cavallo montato tutta la grazia degli atteggiamenti e dei movimenti che presenta in libertà quando vuole apparire bello e mostrare tutta la sua forza.


STESSE INTUIZIONI NEL RINASCIMENTO

Venti secoli più tardi, in occidente, al debutto del rinascimento italiano, riappare una equitazione fondata sulla dolcezza dei metodi impiegati. Ferdinando d'Aragona in una lettera del 23 maggio 1498 al marchese di Mantova lo specifica bene:

"Per rispondere qui a ciò che mi avete chiesto, sarebbe a dire, se è necessario che un cavallo ben addestrato debba obbedire bene tanto alla gamba quanto alla mano come se, senza l'azione ripetuta dell'una o dell'altra, non se ne potessero dirigere tutte le operazioni decise dal Cavaliere; allora avrete altrimenti visto le evoluzioni di cavalli senza alcun apparente aiuto da parte del cavaliere che sembrava immobile usare solo le gambe, e ancora altri che hanno ben condotto il loro cavallo senza aiuto delle stesse. Ebbene in funzione del mio sapere e nella logica del nostro ragionamento, voglio rispondervi che, data la funzione della mano che è di guidare le spalle, quella delle gambe di guidare le anche, la distanza che esiste tra le spalle e le anche e infine il fatto che queste sono due parti opposte, si arriverà con l'arte dell'addestramento a fare in modo che il cavallo operi con una perfetta sincronizzazione delle membra anteriori e posteriori. Ma è anche vero che, una volta che il cavallo è addestrato e che comprende tutti gli aiuti, si può montare senza di essi, ma questa è scuola per Principi".

L'equitazione sapiente diventa così la metafora dell'esercizio del potere politico. Il sovrano che padroneggia il suo cavallo senza toccarlo, ha acquisito per quello la capacità di governare gli uomini senza impiegare la forza.

Qualche anno più tardi, i metodi impiegati per arrivarci sono esposti per Federigo Grisone, gentiluomo napoletano e primo écuyer italiano dei tempi moderni ad aver pubblicato un trattato (nel 1550). Egli descrive così quello che chiama il "fondamento della sua dottrina":

"(Quando un cavallo) entra nella mano, il muso retratto per avvicinarsi alla verticale, egli non sarà solo più fermo di bocca, ma anche terrà il suo collo fermo e fisso senza più muoverlo dal suo posto, e con un appoggio dolce accompagnerà e legherà così la bocca con il morso, continuando a masticarlo, che sembrerà che con esso vi sia miracolosamente nato."

Questa citazione rende la descrizione esatta di quello che noi chiamiamo la "messa in mano", tecnica di base dell'equitazione antica praticata in Francia in seguito alle guerre d'Italia, come del baucherismo che rappresenta un rinnovamento dell'equitazione sapiente francese del XIX° secolo.

François Ier a cavallo, per J. Clouet


LA RICOSTRUZIONE POSTURALE DEL CAVALLO

Per mettere in essere il loro scopo, gli écuyers italiani facevano lavorare i loro cavalli in un equilibrio particolare per ottenere una migliore mobilità in tutti i sensi, ma soprattutto che "combinava mobilità, confort e leggerezza". Quest'equilibrio era ottenuto grazie ad una "modificazione nel tempo sostanziale e profonda della POSTURA DEL CAVALLO" (Dominique Ollivier, Dictionnaire d'équitation, Agence cheval de France, 2003, p. 249) non soltanto nell'avan-mano con il "piego" (ramener n.d.t.) ma in tutto il suo insieme con la "riunione" (rassembler n.d.t.).
Il concetto di "ricostruzione posturale del cavallo" è stato evidenziato e definito da Dominique Olliver, "Ruolo dell'assetto nell'equilibrio dinamico della spalla in dentro" in "François Robichon de La Guérinière, écuyer du Roi et d'aujourd'hui", seminario del 14 luglio 2000 all'Ecole nationale d'Equitation (dir. Patrice Franchet d'Espèrey), Belin, 2000.


I DUE ASPETTI DELLA RIUNIONE

LA RIUNIONE SI CARATTERIZZA PER:
- l'avanzamento dei posteriori per una maggiore presa in carico della massa
- il rifluire del braccio di leva testa-incollatura al di sopra della base di appoggio anteriore

© D. Ollivier


LA RIUNIONE COMPORTA DUE ASPETTI:
A - la bascula del bacino
B - il raddrizzamento dell'incollatura

© D. Ollivier


IL CAVALIERE DI FERRO

La posizione detta del "cavaliere di ferro" Kiba-dachi (in giapponese 騎馬立ち) è una posizione di guardia comune a molte arti marziali giapponesi che permette di comprendere meglio l'influenza dell'uomo sull'equilibrio del cavallo.



LE DUE OPZIONI DI ADDESTRAMENTO

Per arrivare a mettere il cavallo in un equilibrio riunito stabile, per padroneggiare e influenzare i suoi movimenti, il cavaliere può scegliere tra due tecniche che consentono:

- una, di fissare la testa e l'incollatura sin dall'inizio dell'addestramento
- l'altra, di stabilizzarli durante il corso dell'addestramento in funzione dei progressi, dell'equilibrio e della decontrazione

A sinistra: Fels montato dal Colonnello Gerhardt, a destra: Vallerine montata dal Capitano Beudant

La prima opzione corrisponde al modello biomeccanico del "cavallo compresso su se stesso".
La metafora che si applica in questo caso è quella del fioretto spinto contro un muro.
È la tecnica che vuole il CAVALLO SULLA MANO.


Un cavallo è sulla mano quando: "spinto in avanti dalle gambe e avendo smesso di resistere con l'incollatura e con la nuca, conserva con la mano un contatto costante e ne accetta le azioni senza limitazioni".

Questa tecnica usa il punto di appoggio sulla mano, invenzione di Antoine d'Aure esposta nel suo corso d'equitazione militare del 1850.

Per ottenerla, l'azione delle gambe precede quella della mano, cosa che ha per conseguenza di creare un contatto costante tra la bocca del cavallo e la mano del cavaliere su delle redini tese.

L'equitazione sportiva, comprese le competizioni di dressage, trovano in questa tecnica un mezzo molto adatto allo sviluppo della potenza muscolare del cavallo considerato come un atleta destinato alla performance.




La seconda opzione corrisponde al modello biomeccanico del "cavallo che si fa grande da solo".
La metafora che la caratterizza è quella della canna da pesca.
Più questa canna si verticalizza alla base, più si arrotonda alla sua sommità.
La tecnica utilizzata è quella detta della MESSA IN MANO.



Che si definisce come: "la decontrazione della bocca nel ramener. È un movimento della lingua analogo a quello fatto nella deglutizione e che solleva il filetto o il morso".
Generale Albert Decarpentry, Equitation académique, 1947.

Nell'impiego degli aiuti che caratterizzano la messa in mano, questa comincia il primo effetto e le gambe accompagnano questo movimento, così come descrive de La Guérinière nell'Ecole de cavalerie nel 1733.

L'appoggio sul morso torna momentaneamente al contatto minimo grazie alla discesa di mano, durante la quale il cavallo mantiene da sè la sua postura, anche quando il cavaliere dovesse rendere la mano e lasciar continuare il movimento da solo, con le redini completamente flottanti.

La messa in mano è orientata alla ricerca della flessibilità delle molle del cavallo, considerandolo come un ballerino classico che vuole esprimere un intento poetico e filosofico (artistico n.d.t.), così come abbiamo già esposto con Senofonte. La messa in mano è il fondamento dell'arte dell'equitazione alla francese.





COME SI PUÒ MANTENERE LA POSTURA DEL CAVALLO VINCOLANDOLO IL MENO POSSIBILE?

Osserviamo muoversi il cavallo in libertà.
La locomozione dei cavalli è simile a quella delle galline, l'incollatura e la testa avanzano e arretrano a ciascuna falcata su una linea pressoché orizzontale per ciò che riguarda la bocca; la nuca si apre e si chiude di conseguenza, e questo alle tre andature, anche al trotto nonostante l'occhio non lo percepisca. Così, l'incollatura ha oscillazioni verticali che fanno parte della coordinazione motoria ereditaria (movimenti istintivi n.d.t.) così come le gambe.

Dalla mascella passando per la nuca fino alle ultime vertebre cervicali ci sono una serie di articolazioni di cui dobbiamo tenere conto. I loro movimenti sono necessari alla locomozione e si manifestano all'occhio per apertura e chiusura della nuca a ciascuna falcata. Questi movimenti devono essere preservati.

In più, quando l'articolazione della mascella si mobilizza sotto l'effetto di una tensione di redine, la mano deve poi lasciare la mascella inferiore tornare a riposo, a contatto della mascella superiore.



IL CERCHIO INFERNALE

La mano che cerca di tenere la testa del cavallo modifica la traiettoria naturale della bocca e l'insieme dei movimenti dell'avan-mano.
Se la mano si posiziona ad un punto fisso, essa diventa il centro di una circonferenza dove le redini ne sono il raggio.

Non potendo più avanzare la testa, i movimenti della bocca avverranno per conseguenza su un arco di cerchio, dal basso in alto e dall'alto in basso e più o meno verso l'indietro. Farà dunque una sorta di beccata caratteristica, e il profilo del naso passerà regolarmente dietro la verticale, senza quando ci si posiziona definitivamente.




INFLUENZARE SENZA DISTRUGGERE

Per uscire da questo impasse e conservare i movimenti naturali pur stabilizzando l'avan-mano in una nuova postura (rilevando, abbassando, in ramener, secondo i bisogni) bisogna accompagnare questi movimenti per poi poterli influenzare (senza perturbarli, bloccarli o distruggerli), permettere loro di guadagnare in ampiezza oppure ridurla se necessario, ma il tutto lasciando che avvengano.

È un campo di ricerca che si apre.

Nel video che segue, propongo un primo approccio. Non entro nel dettaglio della tecnica utilizzata al fine di permettere a ciascuno di sviluppare l'argomento a modo proprio.





LA CARRIERA DEL CAVALLO KATIKI

Il cavallo Katiki, rieducato da maneggio dopo un'eccezionale carriera nelle corse, ha contribuito ad illustrare il mio proposito.
Vedrete nel video seguente come aveva deciso di non voler più partire.
La seconda parte lo mostra dopo essere passato nelle mani di Nicolas Blondeau: finalmente parte correttamente e vince la corsa.
Tutto sta nello sviluppo del suo galoppo. Il suo equilibrio, molto differente da quello filmato in maneggio, permetterà a ciascuno di farsi un'idea del cammino percorso durante la sua seconda carriera.





PER CONCLUDERE

L'Unesco raccomanda di "salvaguardare il patrimonio culturale senza restarvi ancorato" (traduzione personale di "sauvegarder sans figer" n.d.t.). In questo spirito propongo una citazione del dottor Suzuki che fù il primo zenista a rompere il silenzio ed esporre questa dottrina all'occidente:
"Non cercate di camminare sulle tracce degli Antichi; piuttosto cercate anche voi quello che hanno cercato loro".
Suzuki, Les chemins du Zen, Ed. du Rocher, 1990

Per completare questa ricerca, suggeriamo che si possa agire e sperimentare sempre con l'innocenza del primo che è arrivato al risultato:

"Il maestro che crea per la prima volta il tai ji è grazie alla rivelazione per l'illuminazione del suo essere e per la coscienza che gli è stata donata dalla natura del suo corpo. È il suo stesso corpo che lo istruisce; è lui il suo maestro di saggezza... Il maestro elabora allora questa magnifica serie di movimenti nella sua purezza originale, cioè non ostacolata da un sapere impoverito dall'esterno (di seconda mano n.d.t.) o modificato da ciò che ci si aspetta dagli altri.
Nella sua forma più pura, ad un grado elevato, il tai ji diventa quasi invisibile: talmente sottile che voi non potrete più vedere la successione delle figure; talmente sfuggente che non avrete più punti di riferimento a cui aggrapparvi: non ci saranno più strutture prestabilite. L'unico modo per trovarlo a vostra volta, sarà di penetrare e apprendere ciò che è praticandolo voi stessi. I principii astratti non vi insegneranno molto perché provengono da conoscenze esterne."
Chungluang Al Huang, Tai Ji, danse du Tao, Trédaniel, 1986